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  • Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche di Itinerari previdenziali

07/12/2016 GLI SCENARI FINANZIARI 2017, QUALE IMPATTO SUGLI ENTI PREVIDENZIALI

La ripresa che verrà: inflazione e tassi d’interesse influenzeranno le politiche d’investimento degli enti previdenziali? E’ il tema posto nel convegno organizzato nei giorni scorsi a Roma dal Centro studi e ricerche di itinerari previdenziali, presieduto da Alberto Brambilla (nella foto). Nel dibattito seguito alla presentazione dei possibili scenari, Brambilla ha puntato il dito sulla fiscalità, proponendo un plafond unico di deducibilità, ipotizzando un tetto massimo di 9mila euro che i cittadini potrebbero sfruttare in base alle proprie esigenze (previdenza complementare, sanità integrativa, etc.).

Enrico Morando, Vice-ministro dell’Economia, ha spiegato che la nuova Legge di bilancio prevede un’esenzione fiscale per gli enti di previdenza che investono fino al 5% del proprio attivo patrimoniale in azioni o quote d’imprese che sostanzialmente si ricollegano all’economia reale. “Se il meccanismo funziona siamo disposti ad aumentare questa percentuale, ma non possiamo impegnarci per riportare la tassazione dei rendimenti all’11%” ha affermato Morando. Insomma, è inutile farsi illusioni: mancano le risorse. Sempre la Legge di bilancio 2017, ha aggiunto l’esponente del Governo, stabilisce che se il lavoratore comunica all’azienda di voler spostare una quota del premio di produttività al fondo pensione, anche il contributo comporta il superamento del limite massimo per la deducibilità fiscale di 5.164 euro, quella stessa quota sarà comunque esente da tassazione.

 Gli scenari 2017. Nella prima parte della giornata sono stati presentati gli scenari internazionali e le conseguenti opportunità generate dalle diverse economie mondiali. In una situazione di bassi tassi d’interesse, prezzi delle obbligazioni e dei titoli di Stato al massimo e mercati azionari volatili, per i gestori dei patrimoni previdenziali diventa sempre più difficile mantenere le performance ottenuti negli ultimi dieci anni, nonostante i rendimenti obiettivo (Pil, Tfr e inflazione) siamo ai minimi storici. Quali previsioni per i prossimi anni? Da un lato, Antonio Bassanetti, Senior advisor del Fondo monetario internazionale, ha cercato di dare una risposta a questa domanda delineando il quadro economico globale. L’economia mondiale ha rallentato e sta rallentando in questi ultimi anni, ma quelle avanzate (Stati Uniti, Europa, Regno Unito, etc.) stanno riscontrando maggiori difficoltà rispetto a quelle emergenti, che nel 2016 registrano un tasso di crescita in aumento dal 4 al 4,2%, seppure con una forte diversificazione al loro interno. Se l’India si conferma la prima economia emergente, Russia e Brasile stanno uscendo dalla recessione, mentre la Cina sta decelerando la sua crescita e punta a raggiungere un nuovo equilibrio economico.

Pil mondiale in sofferenza. In linea generale, le previsioni di crescita del Pil mondiale sono state riviste al ribasso. Quali i fattori determinanti? Secondo la posizione del Fmi, sul lato dell’offerta incidono la debolezza diffusa della produttività (non solo in Italia) e la tendenza demografica all’invecchiamento, mentre sul lato della domanda l’alto debito pubblico e privato, lo squilibrio nella distribuzione del reddito e della ricchezza e la bassa domanda. A questi fattori si aggiungono i riallineamenti in atto (ribilanciamento dell’economia cinese, aggiustamenti delle esportazioni delle materie prime, etc.) e alcune fonti d’incertezza, come la Brexit, il flusso migratorio e il sentimento diffuso anti-globalizzazione. Cosa fare dunque?  La risposta a questa situazione sono le riforme strutturali, non solo per i Paesi cosiddetti “di periferia”, ma per tutti. Queste riforme hanno però dei costi che devono essere sostenute dalla politica monetaria, che tuttavia da sola non può bastare. E’ necessaria una politica fiscale attiva”, ha concluso Bassanetti.

Il parere della Bce. Dall’altro lato, il capo della Divisione financial research della Bce, Simone Manganelli, ha spostato la riflessione sul piano finanziario cercando di rispondere alla domanda “Che effetti ha avuto e avrà il Quantitative Easing?”. Manganelli ha sottolineato che “a livello globale ci troviamo in una situazione di tassi d’interesse negativi, ma non si può dire che la politica monetaria della Bce ne sia la causa scatenante.  Se guardiamo all’Unione europea, i rendimenti dei titoli di Stato a dieci anni registrano un trend di decrescita già dal 1990, dunque molto prima di quando è stato annunciato il Qe”. Quali allora le spiegazioni? Secondo Manganelli le risposte sono da ricercare nel fatto che fattori come l’aumento del risparmio, causato dall’andamento demografico, dalla disuguaglianza economica e dalla situazione della Cina, e la riduzione degli investimenti, dovuta a minore innovazione e nuove tecnologie che richiedono sempre meno capitale fisico, hanno spostato verso il basso il tasso di equilibrio.

La Covip. Per analizzare in che modo queste previsioni di scenario possono riversarsi sui portafogli degli investitori previdenziali è intervenuto il presidente della Covip, Mario Padula. Partendo dal presupposto che per capire il futuro è necessario analizzare il passato, Padula ha mostrato il mix d’investimenti dei fondi pensione al 2010 e al 2015. “Poco è cambiato in questi ultimi cinque anni, la parte del leone la fanno sempre i titoli di Stato e l’ordine d’importanza degli asset è rimasto lo stesso”, ha spiegato Padula, “si rilevano però differenze nell’esposizione delle diverse tipologie di fondi pensione: i preesistenti hanno quota considerevole di immobili che gli altri non hanno, gli aperti hanno in portafoglio una percentuale inferiore di titoli di Stato rispetto a quello dei negoziali, i Pip hanno ridotto la quota di titoli di capitale.

Padula ha poi proseguito sostenendo che i portafogli dei fondi pensione sono rimasti stabili nel tempo, traguardo che spiega con la composizione di portafoglio presentata. Ma se i rendimenti si abbassano, occorre agire sui costi. Dalle evidenze empiriche risulta che all’aumentare del patrimonio del fondo i costi si riducono, perciò bisogna ragionare sulla dimensione efficiente di questi enti. Da ultimo, è stato sottolineato il minor peso delle attività domestiche nel portafoglio dei fondi pensione rispetto a quello delle Casse professionali: per queste ultime, infatti, nonostante le significative riduzioni degli ultimi anni la parte del leone è ancora rappresentata dagli immobili.

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